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Questa foto si riferisce alle manifestazioni in occasione del fallito rinnovo unitario del 2008, che si risolse, in parte, con il "patto per il lavoro" del giugno 2009. |
Già da qualche mese è in atto la trattativa tra parti sociali ed
imprenditoriali per il rinnovo del CCNL (Contratto Collettivo Nazionale del
Lavoro) che comprende anche il commercio (T.D.S. = Terziario Distribuzione
e Servizi). Confcommercio, uno dei
maggiori, se non il maggiore, sindacato dei commercianti privati, si è proposto,
con il rinnovo, di modificare alcune norme ed alcuni diritti, ritenendo, a suo
avviso, di migliorare sensibilmente il rapporto azienda/lavoratore, soprattutto
alla luce degli ultimi sviluppi della crisi economica globale, che ha investito
gravemente l’Italia soprattutto a causa dell’immobilismo politico del governo,
al quale tutti siamo concordi nell’attribuirgli una grave colpa, soprattutto
nella figura del Ministro Sacconi che, direi, tiene in una situazione di
soggezione i due sindacati di minoranza - FISASCAT e UILTUCS - i quali molto
blandamente si preoccupano dell’enorme portata negativa, lesiva dei diritti
fino a qui acquisiti, che avrebbe la nuova normativa, se introdotta, così come
Confcommercio la propone. Ci si avvia, dunque, verso una fase simile a quella
del 2008 che ha visto i due sindacati di minoranza arrivare alla firma del
contratto estromettendo FILCAMS-CGIL, nonostante gli sforzi fatti per tenere
unito il sindacato(*).
Certo è che le modifiche proposte da Confcommercio, sarebbero a vantaggio
suo medesimo. Forti di una situazione che vede soprattutto svantaggiate le
fasce più deboli della popolazione, questi signori non vorrebbero perdere
l’occasione di cancellare in un colpo solo diversi diritti, o quantomeno
ridimensionarli, senza preoccuparsi dell’enorme disagio sociale che ne
comporterebbe.
Senza entrare troppo nel dettaglio, posso scrivere di alcune cose, che
già da sole allarmano: riduzione delle ore di permesso retribuito (PR), la
cancellazione di 2 giorni all’anno di ferie, il ridimensionamento degli scatti
di anzianità dagli attuali 10 ogni 3 anni agli 8 ogni 4 anni (che suppongo
comporterebbero un risparmio notevole su base annua in rapporto al numero di
dipendenti, e che quindi si misurerebbe su ampia scala, comportando un reale
vantaggio solo alle grandi imprese: in pratica chi più è ricco più si arricchirebbe
se passasse la norma), l’allargamento, che definire improprio sarebbe eufemistico, del periodo di prova da 45 giorni a
75, che permetterebbe, come dice Filcams, e non ci sono ombre di dubbio perché
non esisterà una norma o legge che lo vieta, di superare surrettiziamente il
contratto a termine, in tutte quelle occasioni dove servirà personale, come ad
esempio durante le festività natalizie o durante il periodo estivo nelle
località turistiche! Questo è inaccettabile. Poi, ciliegina sulla torta, il
ripristino delle 40 ore a parità di salario: anche nel resto d’Europa, proprio
come misura anticrisi, si adottata una misura simile per combatterla a fronte di un aumento della
produttività (anche se poi non si traduce automaticamente in un aumento dei
profitti), ma bisogna tener conto della portata salariale, e considerare che
l’Italia, rispetto alla media europea, ha i salari più bassi del 30%, per cui è
inaccettabile come soluzione perché andrebbe a penalizzare sempre gli stessi
che già sono penalizzati ora: i lavoratori.
Si parla poi del lavoro domenicale e, più in generale, del lavoro festivo;
si noti,innanzitutto, come il bacino d’utenza, non sia variato, ma sia
semplicemente spalmato anche su quel giorno, costituendo, di fatto, un costo
per l’azienda, piuttosto che un reale vantaggio, ed un costo anche per
l’ambiente in quanto mobilita, anche in quel giorno, una massa di gente che
piuttosto che fare acquisti si reca ad una vetrina, in un luogo che è
diventato, nel giorno domenicale, più un ritrovo che un negozio, ed in questo
persino la maggior parte delle aziende è concorde. Non si capisce dunque perché
portare avanti questa idea della “domenica sempre aperto”, iniziativa che, tra
l’altro, tradisce l’indicazione regionale sulle chiusure festive, con una rincorsa
sistematica non degna di un paese civile.
Ma parliamo di ciò che succede nel resto d’Europa: il modello commerciale
che noi stiamo rincorrendo ora era il modello europeo, francese, ad esempio, o
tedesco, di alcuni decenni fa; già da diversi anni, proprio mentre noi
rincorriamo il modello vecchio, in Europa ci si è resi conto che quello dei
grossi centri commerciali fuori città non è un modello vincente, in quanto
svuota la vita cittadina, quella dei centri abitati, siano essi città o paesi,
limitando di fatto, o costringendo anche chi ne farebbe a meno, anche lunghi spostamenti, spesso con la
propria automobile, contribuendo sensibilmente anche all’inquinamento, oltre
che costituire una spesa in termini di carburante.
Tutto questo uccide l’economia invece di aiutarla; dobbiamo riconquistare
un impianto normativo e farlo rispettare ed, al contempo, rimettere in
discussione il modello di sviluppo, perché quello che stiamo perseguendo adesso
è un modello vecchio che è già stato rivisto e corretto nel resto d’Europa, ed
è il sostanziale motivo per cui nuoce così ai lavoratori ed all’economia.
E comunque, se si vogliono certi servizi senza restrizioni, perché
limitarli al commercio? Se fossero veramente così innovativi sarebbero da
estendere agli uffici postali e agli sportelli bancari, ed a tutti gli uffici,
comunali regionali ecc., ma questo non lo si è neppure proposto.
Sarebbe anche da approfondire il tema del collegato lavoro - proposto nel nuovo CCNL - che implicherebbe un
aggravio della posizione giuridica del lavoratore, al quale sarebbe richiesto,
al momento dell’assunzione, di firmare un documento nel quale si rinuncia di
ricorrere al giudice in caso di controversia col datore di lavoro, al quale si
anteporrebbe un arbitrato in sede privata; lascio immaginare le implicazioni in
tema di diritti che avrebbe una simile eventualità.
Piangendo sempre miserie, chissà come, le catene più grandi, sia private
che della cooperazione, continuano nell’espansione, aprendo continuamente nuovi
centri commerciali, in barba alla crisi… Dov’è dunque questa crisi, se non
scaricata in pratica completamente sulle spalle dei lavoratori, e solo in
minima parte sulle piccole imprese? Certamente i grandi gruppi, con questi
escamotage, di cui già il vecchio CCNL è pieno pur essendo migliore di quello
in discussione, non sentono crisi. Eppure cavalcano l’onda della crisi!
Anche la cooperazione vorrebbe l’assimilazione al contratto del privato,
con tutto quel che ne consegue; ma perché non chiede allora di essere
equiparata, e quindi, di cancellare il contratto separato? Anche loro nel giro
di pochi anni hanno aperto, solo in Romagna, ben 6 punti vendita, passando da 5
a 11.
Una nota di demerito a Mercatone Uno, che è riuscito ad istituire, senza
che nessuno, a quanto pare, sollevasse l’obiezione di illegittimità (per usare
un eufemismo), una nuova figura di lavoratore da mobbizzare: il S.I.N.P. -
soggetti da denunciare (a cura dei colleghi) in quanto, a detta loro,
influenzano negativamente il personale. C’è da far notare che, nella totale
indifferenza di gran parte dei lavoratori stessi (che senza strumenti non hanno
di che valutare), questo fenomeno già si verifica in altre realtà del
commercio, senza che ci sia alcun bisogno di attribuirgli una figura acronima,
ma che non ha meno significato dal punto di vista dello svilimento della
persona, nel violare quel precetto imprescindibile citato dalla Costituzione
Italiana che ha, nella realizzazione e nel rispetto della persona un valore
fondamentale. Il tutto mentre, nella quasi totale assenza di informazione, un
altro colosso del commercio come Esselunga, straccia di fatto il contratto di
secondo livello, stipulato appena nell’estate del 2010, costituendo un
precedente gravissimo a danno dei lavoratori.
Ci mancherebbe solo che tutti ci recassimo a donare una sacca di sangue
da destinare a Confcommercio per sancirne la sudditanza. Aprissero qualche
punto vendita in meno e si accontentassero degli introiti da favola che già
hanno!
In questo scenario quasi apocalittico si colloca la politica immobile del
governo; e la mancanza di proposte e di prese di posizione da parte della
sinistra di certo non aiuta.
Filcams dice NO a questo andamento della trattativa, dove le proposte di
Confcommercio hanno un vantaggio univoco e che chiaramente non coincidono con
il benessere ed il vantaggio di chi fa il lavoro, di chi, ogni giorno produce
ricchezza; ricchezza che sempre più finisce ad uso dei “padroni” e sempre meno
nel già povero portafogli di chi deve arrivare a fine mese con uno stipendio
che è, di fatto, tra i più bassi d’Europa… Per arrivare all’ultimo posto, ci
stanno lavorando!
(*note)
- Sarebbe il caso anche di far notare come, mentre negli ultimi mesi, con
il caso Mirafiori, sia scoppiato il caso metalmeccanico, già da qualche anno il
terziario sia investito da continui attacchi da parte di Confcommercio; ben
prima del settore metalmeccanico, e senza alcun trampolino mediatico che
disponesse la sua denuncia, i lavoratori del commercio hanno subito
un’attuazione del CCNL a firme separate
nel 2008, con gravi ripercussioni sui lavoratori, e nonostante ciò la volontà
di peggiorare la loro condizione permane e, anzi, si aggrava.